La versione moderna del panpepato risale, presumibilmente, al '700. Il termine “panforte” appare, per la prima volta, agli inizi del XIX secolo quando Ugo Foscolo, in una lettera del 1813, ricorda di aver ricevuto in omaggio dalla “Donna gentile Quirina Magiotti Mocenni[...] panforti e parecchi fiaschetti di Montalcino”.
Ciò fa desumere che già nel secolo precedente qualche intraprendente speziale abbia effettuato esperimenti sul tradizionale dolce medioevale, ricavandone una versione più delicata, senza pepe e arricchito di canditi. Le affinità tra i due dolci finirono per far accostare fra loro anche le rispettive definizioni lessicali, generando l'equivoco che panforte e panpepato fossero la stessa cosa.
Procedendo nella ricerca di ricette sempre più nuove, si giunse nel 1887 all'invenzione del panforte bianco. Pare che quell'anno, in occasione della visita a Siena della regina Margherita e del Re Umberto di Savoia, un maestro di cerimonia abbia cambiato nuovamente gli ingredienti del panforte utilizzando canditi più chiari e ricoprendo il dolce con uno strato di zucchero a velo. In onore della sovrana questo tipo di panforte fu denominato “Margherita” ed è rimasta la versione più tradizionale e conosciuta.
E' comunque certo che questo dolce è sempre stato il vanto della tradizione dolciaria locale ed è particolarmente caro ai senesi in quanto legato ad una leggenda popolare tramandatasi per generazioni.
Nella famosa battaglia di Monteaperti del 1260 i fiorentini, stanchi per il lungo viaggio, si sarebbero rifocillati con normali viveri, scarsi di calorie. I soldati senesi, invece, avrebbero portato nelle tasche il panpepato, rotondeggiante proprio per essere meglio trasportato. Le risapute qualità energetiche di questo cibo, avrebbero trasmesso loro un tale vigore che i nemici, pur numericamente superiori, ne sarebbero rimasti atterriti dandosi alla fuga. Sarebbe nata, così, la storica vittoria. Leggende a parte, i panpepati erano considerati dolci pregiati soprattutto per la presenza del pepe, merce rarissima e costosa, importato dall'Oriente. Si riteneva che avesse proprietà afrodisiache. La sua importanza era tale che veniva accettato ovunque come merce di scambio e addirittura al posto delle monete.
Gli ingredienti venivano amalgamati esclusivamente nei conventi e nelle spezierie. La spiegazione è evidente: monaci e monache ricevevano le spezie, come censo, in gran quantità. Le impiegavano in pratiche curative in quanto, nei conventi, c'erano infermerie e si prestava soccorso a chiunque ne avesse bisogno. L'eccedenza veniva utilizzata per confezionare questi dolci particolari, utili per la salute.
Gli speziali fungevano da presidi medici ed era logico che utilizzassero, a loro volta, le spezie per preparare medicinali. Probabilmente anche loro avevano rimanenze e per non far deteriorare questo prezioso elemento, che non poteva essere conservato a lungo, lo manipolavano con altri per ricavare dolci speziati, considerati veri e propri ricostituenti. La cottura dei panpepati veniva effettuata in qualunque forno. La vendita del prodotto finito era affidata a locande, taverne e botteghe di commestibili, concentrate in Via del Porrione, toponimo che deriva da “Emporio”.
Tuttavia anche gli ambulanti dovevano vendere dolciumi, almeno con il passare dei secoli, se è vero che in una tela raffigurante il Palio del 2 Aprile 1739, attribuita al pittore Giuseppe Zocchi, si notano due uomini che si aggirano per la piazza con vassoi pieni di biscotti.
Le altre specialità fra storia e leggende.
Anche l'origine dei cavallucci risale al 1200. Si chiamavano allora “biricuocoli” o “bellicuocoli”, nome che deriva da “bericoccola”, cioè albicocca, in quanto avevano la forma di questo frutto. La prima testimonianza della loro esistenza si trova in una lettera indirizzata, alla fine di quel secolo, da un frate Domenicano, di nome Dioniso, al nobile senese Guccio di Geri Montanini per ringraziarlo “[...]de bellicuocoli[...]” ricevuti in dono .
In origine questi dolci erano schiacciate di pasta intrise di miele e zucchero, con spezie. Attualmente sono dolci composti di farina, zucchero, noci, canditi e spezie.
A differenza del panpepato, la loro produzione si estese a varie località della Toscana e sembra che i bericuocolai intonassero, nel farli, un canto particolare composto in Firenze fra il 1475 e il 1480 alla corte di Lorenzo il Magnifico. Non sappiamo con esattezza quando il termine cavalluccio soppiantò quello originale. Secondo una tradizione non confermata, l'uso di questo nome sarebbe derivato dalla consuetudine, formatasi nel tempo, di imprimere nella pasta fresca l'immagine di un cavallo. Altre fonti, sempre non ufficiali, fanno discendere questo nome dal fatto che i pezzi, durante la cottura, si appiccicavano spesso tra loro, dando origine a composizioni che, nella forma, ricordavano vagamente un embrione di quell'animale.
E' più incerta l'origine delle copate. Forse derivano dai “pamparigi”, uno dei dolci senesi più antichi, di cui si ha menzione fin dal 1339, quando viene citato un certo “Riguccio pamparigiaio”, ovvero fabbricante di pamparigi , cialde costituite da semplice sfoglia biscottata, in certi casi arricchite con altre sostanze capaci di renderle ancora più appetibili. In seguito potrebbero essere state rielaborate e aver preso la connotazione degli attuali dolci, costituiti da un sottile disco di pasta di noci o mandorle, miele e canditi racchiuso fra due cialde d'amido.
Ciò fa desumere che già nel secolo precedente qualche intraprendente speziale abbia effettuato esperimenti sul tradizionale dolce medioevale, ricavandone una versione più delicata, senza pepe e arricchito di canditi. Le affinità tra i due dolci finirono per far accostare fra loro anche le rispettive definizioni lessicali, generando l'equivoco che panforte e panpepato fossero la stessa cosa.
Procedendo nella ricerca di ricette sempre più nuove, si giunse nel 1887 all'invenzione del panforte bianco. Pare che quell'anno, in occasione della visita a Siena della regina Margherita e del Re Umberto di Savoia, un maestro di cerimonia abbia cambiato nuovamente gli ingredienti del panforte utilizzando canditi più chiari e ricoprendo il dolce con uno strato di zucchero a velo. In onore della sovrana questo tipo di panforte fu denominato “Margherita” ed è rimasta la versione più tradizionale e conosciuta.
E' comunque certo che questo dolce è sempre stato il vanto della tradizione dolciaria locale ed è particolarmente caro ai senesi in quanto legato ad una leggenda popolare tramandatasi per generazioni.
Nella famosa battaglia di Monteaperti del 1260 i fiorentini, stanchi per il lungo viaggio, si sarebbero rifocillati con normali viveri, scarsi di calorie. I soldati senesi, invece, avrebbero portato nelle tasche il panpepato, rotondeggiante proprio per essere meglio trasportato. Le risapute qualità energetiche di questo cibo, avrebbero trasmesso loro un tale vigore che i nemici, pur numericamente superiori, ne sarebbero rimasti atterriti dandosi alla fuga. Sarebbe nata, così, la storica vittoria. Leggende a parte, i panpepati erano considerati dolci pregiati soprattutto per la presenza del pepe, merce rarissima e costosa, importato dall'Oriente. Si riteneva che avesse proprietà afrodisiache. La sua importanza era tale che veniva accettato ovunque come merce di scambio e addirittura al posto delle monete.
Gli ingredienti venivano amalgamati esclusivamente nei conventi e nelle spezierie. La spiegazione è evidente: monaci e monache ricevevano le spezie, come censo, in gran quantità. Le impiegavano in pratiche curative in quanto, nei conventi, c'erano infermerie e si prestava soccorso a chiunque ne avesse bisogno. L'eccedenza veniva utilizzata per confezionare questi dolci particolari, utili per la salute.
Gli speziali fungevano da presidi medici ed era logico che utilizzassero, a loro volta, le spezie per preparare medicinali. Probabilmente anche loro avevano rimanenze e per non far deteriorare questo prezioso elemento, che non poteva essere conservato a lungo, lo manipolavano con altri per ricavare dolci speziati, considerati veri e propri ricostituenti. La cottura dei panpepati veniva effettuata in qualunque forno. La vendita del prodotto finito era affidata a locande, taverne e botteghe di commestibili, concentrate in Via del Porrione, toponimo che deriva da “Emporio”.
Tuttavia anche gli ambulanti dovevano vendere dolciumi, almeno con il passare dei secoli, se è vero che in una tela raffigurante il Palio del 2 Aprile 1739, attribuita al pittore Giuseppe Zocchi, si notano due uomini che si aggirano per la piazza con vassoi pieni di biscotti.
Le altre specialità fra storia e leggende.
Anche l'origine dei cavallucci risale al 1200. Si chiamavano allora “biricuocoli” o “bellicuocoli”, nome che deriva da “bericoccola”, cioè albicocca, in quanto avevano la forma di questo frutto. La prima testimonianza della loro esistenza si trova in una lettera indirizzata, alla fine di quel secolo, da un frate Domenicano, di nome Dioniso, al nobile senese Guccio di Geri Montanini per ringraziarlo “[...]de bellicuocoli[...]” ricevuti in dono .
In origine questi dolci erano schiacciate di pasta intrise di miele e zucchero, con spezie. Attualmente sono dolci composti di farina, zucchero, noci, canditi e spezie.
A differenza del panpepato, la loro produzione si estese a varie località della Toscana e sembra che i bericuocolai intonassero, nel farli, un canto particolare composto in Firenze fra il 1475 e il 1480 alla corte di Lorenzo il Magnifico. Non sappiamo con esattezza quando il termine cavalluccio soppiantò quello originale. Secondo una tradizione non confermata, l'uso di questo nome sarebbe derivato dalla consuetudine, formatasi nel tempo, di imprimere nella pasta fresca l'immagine di un cavallo. Altre fonti, sempre non ufficiali, fanno discendere questo nome dal fatto che i pezzi, durante la cottura, si appiccicavano spesso tra loro, dando origine a composizioni che, nella forma, ricordavano vagamente un embrione di quell'animale.
E' più incerta l'origine delle copate. Forse derivano dai “pamparigi”, uno dei dolci senesi più antichi, di cui si ha menzione fin dal 1339, quando viene citato un certo “Riguccio pamparigiaio”, ovvero fabbricante di pamparigi , cialde costituite da semplice sfoglia biscottata, in certi casi arricchite con altre sostanze capaci di renderle ancora più appetibili. In seguito potrebbero essere state rielaborate e aver preso la connotazione degli attuali dolci, costituiti da un sottile disco di pasta di noci o mandorle, miele e canditi racchiuso fra due cialde d'amido.
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